giovedì 24 aprile 2014



"Il bicchiere d’acqua che si era versata le cadde di mano bagnandola fino alle decolleté di raso senza tacco. Maya imprecò cercando i fazzoletti nella borsa, si tamponò la stoffa dei pantaloni e si chinò per asciugare il pavimento. Quell’uomo le faceva scattare dentro un interruttore segreto, una sorta di paura, un'ansia ingiustificata per il timore di scatenare sensazioni che forse abitavano già dentro di lei, e che avvertiva emergere dalla coscienza assopita, confuse in una marea di sentimenti contrastanti. Lei era la ragazza giudiziosa e prudente che il padre aveva tirato su con tanti sacrifici, era quella che frequentava l’istituto per ciechi della contea di Sussex e aiutava i nuovi arrivati in difficoltà, che si divertiva con Jeremy ridendo delle sue battute stupide. Non poteva desiderare di trovarsi chiusa in una stanza con un depravato come Orlando Saxton. Era tutto sbagliato. Doveva assolutamente contrastare quei pensieri. Orlando era un uomo malvagio, c’era qualcosa di perduto, di oscuro, di irrecuperabile che era assolutamente necessario tenere lontano. L’interfono la fece sobbalzare.
- Maya, qui da me, subito.
Clic. Allora era in ufficio! Né buongiorno, né per favore, che arroganza!
Aprendo la porta dell’ufficio del capo, Maya non sapeva cosa aspettarsi: forse un'altra scena di sesso sfrenato? Stavolta non avrebbe tardato a interpretarne l'odore.
Ma qualcosa le diceva che Orlando non era un tipo prevedibile.
Il profumo la colpì: cedro e legno di sandalo, fragranza costosa. Chi c'era in quella stanza?
- Puoi tenere il tuo cane, se vuoi. La voce fredda la colpì tra le scapole. La frusta di un brivido le fece tremare le spalle.
Udire quella voce e immaginarla, erano due realtà completamente diverse, come il giorno e la notte. Lui era lì, ora, nella stessa stanza, nello stesso spazio. Maya strinse i pugni cercando di rilassare le braccia, ma nemmeno le parole appena pronunciate da Orlando riuscirono a rasserenarla. L'annuncio della resa riguardo a Doc era del tutto prevedibile, il signorino doveva aver scoperto che con i cani per ciechi non funzionava allo stesso modo che con i vestiti: compro, indosso il nuovo e butto il vecchio. Inspirò profondamente e scandagliò in fondo a se stessa per cercare la forza di non abbassarsi alle cattive maniere di Orlando Saxton.
- Buongiorno dottore. Va bene ma… come mai ha cambiato idea?
Meritava di essere preso in giro e Maya lo avrebbe fatto con più efficacia e disinvoltura se non fosse stata paralizzata dall’imbarazzo di trovarsi nella stanza delle malefatte sola con lui.
Il pensiero le corse a chissà quante volte si era divertito lì dentro. Anche se la cosa avrebbe dovuto sconcertarla, d’istinto Maya strinse le gambe, senza neanche sapere perché.
Lui evitò la domanda come se lei non l'avesse fatta.
- Userai questo al suo posto.
Una mano calda e morbida le afferrò il polso. Era una presa salda ma delicata, il tocco magico di un chirurgo. La tirò verso di sé e Maya finì quasi per sbattergli contro. L’odore naturale era mischiato al pregiato Penhaligon e il miscuglio che ne usciva le dava quasi alla testa.
Inebriata da quella marea di sensazioni, solo in ritardo le arrivò il sentore di metallo leggero sotto le dita. Strinse la mano, provò a sollevare l'oggetto. Un bastone elettronico di ultima generazione, di quelli che chiamavano cane guida elettronico per ciechi. Si morse la lingua per non rispondere. Ma chi accidenti credeva di essere, brutto figlio di puttana, per dirle come doveva camminare?
Invece inspirò e contò fino a dieci.
- Con tutto il rispetto dottor Saxton, non ho mai usato il bastone e non voglio iniziare a farlo adesso, neanche questo nuovo tipo…
La mano morbida ritornò su quella di Maya, stavolta per richiuderle le dita sull’oggetto in una stretta che non ammetteva repliche. Maya si sentì avvampare colta da un calore improvviso.
- Qui non si negozia niente, Maya, o quasi.
Agli occhi di David la scena appariva quasi surreale. La ragazza cieca era praticamente incollata al fratello che le stringeva la mano racchiusa sul bastone moderno per non vedenti. Lei gli stava quasi del tutto aderente alla casacca verde da chirurgo. Orlando teneva la cuffietta da sala operatoria in mano ed era pronto di tutto punto. Era in programma un intervento quella mattina presto, e tutti lo stavano aspettando, anzi, si stava facendo tardi e l’equipe doveva essere già pronta. David immaginò l’anestesista di turno snocciolare i nomi di tutti i santi del paradiso perché Orlando, come al solito, faceva il proprio comodo. Ma suo fratello era un genio, un maledetto mago della chirurgia plastica ricostruttiva e tanto bastava.
Tuttavia vederlo lì, nello studio, lui grande e grosso di fronte a quella ragazzina cieca dai capelli rossi e lisci, una che gli arrivava sì e no al petto e che lui sovrastava di tutta la testa, era come guardare Davide e Golia.
David si schiarì la voce, non solo per la ragazza quanto per avvertire il fratello che, a giudicare dallo sguardo perso nel viso di lei, sembrava ignaro che qualcun altro fosse presente."

sabato 12 aprile 2014


13 aprile, giornata molto speciale per noi; tutto ha un significato, le persone non si incontrano per caso ma per un motivo particolare. E poi, finisci dentro i miei romanzi in cui c'è sempre un po' di me, e inevitabilmente un po' di noi due. 
Buon anniversario.

giovedì 10 aprile 2014


"...Maya zittì il cane cercando di parlargli dolcemente nell’orecchio per rassicurarlo. Uno spostamento d’aria le segnalò che il dottor Saxton aveva fatto un passo in avanti. Non poteva vederlo, ma sapeva che stava incombendo con tutta la sua altezza su di lei e Doc. Per tutta risposta il cane si stese con il muso aderente il pavimento, come rassegnato. Maya si tirò su e tese un braccio, sicura che sarebbe stata subito intercettata. Era abituata a persone che si facevano in quattro per aiutarla, in genere la mano veniva subito presa e stretta. Ma non accadde, non stavolta. Che non se ne fosse accorto? Impossibile. C’erano solo loro due nella stanza.
Che succedeva allora? Maya cercò di nuovo l’appoggio della scrivania e poi ne girò il perimetro fino a trovarsene davanti. Sì, era certa di averlo proprio di fronte. Nonostante lui non dicesse nulla, ne avvertiva l’odore e con esso il ritmo del respiro, regolare, profondo. Non aveva bisogno di allungare le mani e toccarlo per esserne sicura. Allora perché non l’accompagnava dietro la scrivania, non le stringeva la mano, non le dava il benvenuto? L’odore si stava spostando e con esso il lieve cigolio delle scarpe di cuoio.
Fece per muovere un passo in quella direzione quando fu assalita da una sensazione improvvisa di smarrimento. Non riusciva più a ricordare come si trovasse rispetto alla stanza, dove fosse la sua postazione, dove la porta.
Per concentrarsi su di lui, aveva perso il senso dell’orientamento.
Era parecchio che non le succedeva e il buio le diede un senso di vertigine incommensurabile. L’idea che Orlando Saxton la stesse osservando sbandare leggermente e vagare alla cieca nella stanza le fece aumentare ancora di più la confusione e la paura.
- Non puoi venire qui vestita così.
La voce la aiutò ad orientarsi. Si era spostato alla sua destra e aveva messo un po’ di distanza fra loro. Maya lo immaginò con il bacino appena poggiato sul mobile basso che aveva esplorato quella mattina insieme a tutto ciò che c’era nella stanza.
- Solo guardandoti le pazienti scapperebbero urlando.
Sembrava dicesse davvero sul serio.
Maya ingoiò l’umiliazione. Ma prima ancora non poté fare a meno di collegare il tono sprezzante con le parole oscene e sensuali che erano uscite dalla stessa bocca poco prima. Il dottore sembrava maldisposto come sospettasse che lei potesse aver origliato. Il solo pensiero le accelerò il battito cardiaco gettandola nel panico, ma Maya cercò di rispondere con tono piatto:
- Non posso mettere i jeans per venire al lavoro? - Magari al dottore non piacevano, magari lì dentro erano tutti come appena usciti da una boutique.
Un’esclamazione sarcastica gli uscì dalle labbra.
- Non sono i jeans, ma quei jeans. Ti stanno più o meno come a un uomo.
Possibile che la stesse offendendo a quel modo? Maya era un tipo minuto, non troppo alto, ma aveva un corpo proporzionato.
- Va bene, da domani cercherò di mettere qualcosa di più femminile.
- E i capelli…
- Cosa?
La domanda di Maya era quasi una supplica. Possibile che neanche quelli andassero bene? Li aveva rossi, piuttosto lunghi e completamente lisci: cosa potevano avere di sbagliato?
- Qui i capelli vanno portati sempre legati, sempre. Fuori puoi tenerli come vuoi, non m’importa, ma in clinica niente chiome al vento.
- Va bene.
Clinica, aveva detto? Cominciava a sembrarle un lager!
- E poi il cane.
- Il cane, cosa?
Maya girò il viso nella sua direzione come se potesse davvero guardarlo negli occhi e gli prestò tutta l’attenzione di cui era capace.
- Fa schifo, è un sacco di pulci che non tollererò un giorno di più. Da domani non lo porterai.
No, quello proprio no.
- Ma io ho bisogno…
Le parole le bruciavano in fondo alla gola, tanto che non poté terminare la frase. Le veniva da piangere. Quell’uomo era un mostro di insensibilità e lei non poteva permettergli di trattarla una schiava.
- No, non fare che adesso ti metti a piangere.
Aveva alzato leggermente la voce e sembrava davvero infastidito.
- Ti procurerò al più presto qualcosa di adeguato per quest’ambiente, un levrette, magari.
- No!
- Sì, invece
- E Doc?
- Mentre sarai qui quel sacco di pelo starà in portineria. Sta tranquilla, gli troveranno una sistemazione adeguata.
Il corpo le si tese e irrigidì per lo sforzo di tacere. Quelle considerazioni sul suo aspetto erano un vero sopruso, ma sottrarle l’appoggio di Doc era crudele. Respirò a fondo:
- Bene.
Si sarebbe fatta venire in mente qualcosa per sottrarsi a quell’idea assurda. Avrebbe scartato qualsiasi cane le avesse proposto fino a quando anche lo strafottente Orlando Saxton si sarebbe dovuto piegare all’evidenza che l’unico cane per lei era Doc.
- Bene.
Le fece eco lui. Si stava allontanando, le scarpe scricchiolarono ancora e quello fu l’unico suono che accompagnò la sua uscita di scena.
Di colpo nella stanza era calato un silenzio triste. Lentamente Maya tornò al proprio posto, mentre l’odore di Orlando Saxton si allontanava così come era arrivato.
Si era dileguato senza salutare, senza accomiatarsi in nessun modo. Era un gran maleducato, oltre che cattivo..."

domenica 6 aprile 2014

Sono perplessa.

Buongiorno ragazze e buona domenica!
Sono un pochino perplessa: sto leggendo, con un po' di fatica, La trasgressione di C.L. Parker (il seguito di La proposta) questa è la copertina

che metto perché purtroppo questi titoli sono tutti uguali (La proposta, La confessione, La trasgressione, La devozione...) e almeno io faccio una fatica matta ad abbinarli alle trame. 
Ma torniamo a noi. Forse non ho più l'età per leggere queste cosette un po' frivole oppure mi sono viziata con la SEP (Susan Elizabeth Phillips) non lo so, ma sinceramente leggere di Lanie che arrivata al capezzale della madre morente pensa a chiudersi nello sgabuzzino delle scope dell'ospedale con Noah per fare voi immaginate cosa furiosamente che più furiosamente non si può... non lo so, mi sconcerta abbastanza.

Lanie e Noah devono stare separati per quindici giorni  perché lei deve accudire la mamma, il cui intervento è perfettamente riuscito e che quindi non corre pericolo di nessun genere. Quale ostacolo insormontabile per tenere lontani i due protagonisti! Una volta gli autori si inventavano viaggi, matrimoni combinati, intrighi per dare corpo all'ineluttabilità della separazione e ora...puff, basta una normale convalescenza.
Insomma, devono stare separati e tutti, dico tutti i personaggi del romanzo, risentono in maniera inenarrabile dell'assenza della fascinosa e carismatica(???) Lanie, persino Polly, assiitente di Noah e suo marito Mason. Tutti, dico tutti diventano intrattabili e ne soffrono come cani!

Non sono una che grida allo scandalo per l'utilizzo di termini espliciti, anche spinti. Ritengo che nel contesto del discorso, in un romanzo di genere, ci possano anche stare anzi debbano, soprattutto perché conferiscono autenticità al dialogo. Ma quando tutta questa voglia di verosimiglianza si scontra con una trama poco approfondita cosa esce fuori? Esce fuori che i personaggi non appassionano, Lanie ha una vicenda persona e un retroterra familiare che sarebbe ottimo per creare un  "dramma"  che potrebbe toccare il lettore nel profondo. Invece niente, continua, almeno fino a metà libro, a comportarsi come una bimba capricciosa.
Mi tocca leggere la restante metà, magari ci sarà un'impennata finale a sorpresa...