giovedì 10 aprile 2014


"...Maya zittì il cane cercando di parlargli dolcemente nell’orecchio per rassicurarlo. Uno spostamento d’aria le segnalò che il dottor Saxton aveva fatto un passo in avanti. Non poteva vederlo, ma sapeva che stava incombendo con tutta la sua altezza su di lei e Doc. Per tutta risposta il cane si stese con il muso aderente il pavimento, come rassegnato. Maya si tirò su e tese un braccio, sicura che sarebbe stata subito intercettata. Era abituata a persone che si facevano in quattro per aiutarla, in genere la mano veniva subito presa e stretta. Ma non accadde, non stavolta. Che non se ne fosse accorto? Impossibile. C’erano solo loro due nella stanza.
Che succedeva allora? Maya cercò di nuovo l’appoggio della scrivania e poi ne girò il perimetro fino a trovarsene davanti. Sì, era certa di averlo proprio di fronte. Nonostante lui non dicesse nulla, ne avvertiva l’odore e con esso il ritmo del respiro, regolare, profondo. Non aveva bisogno di allungare le mani e toccarlo per esserne sicura. Allora perché non l’accompagnava dietro la scrivania, non le stringeva la mano, non le dava il benvenuto? L’odore si stava spostando e con esso il lieve cigolio delle scarpe di cuoio.
Fece per muovere un passo in quella direzione quando fu assalita da una sensazione improvvisa di smarrimento. Non riusciva più a ricordare come si trovasse rispetto alla stanza, dove fosse la sua postazione, dove la porta.
Per concentrarsi su di lui, aveva perso il senso dell’orientamento.
Era parecchio che non le succedeva e il buio le diede un senso di vertigine incommensurabile. L’idea che Orlando Saxton la stesse osservando sbandare leggermente e vagare alla cieca nella stanza le fece aumentare ancora di più la confusione e la paura.
- Non puoi venire qui vestita così.
La voce la aiutò ad orientarsi. Si era spostato alla sua destra e aveva messo un po’ di distanza fra loro. Maya lo immaginò con il bacino appena poggiato sul mobile basso che aveva esplorato quella mattina insieme a tutto ciò che c’era nella stanza.
- Solo guardandoti le pazienti scapperebbero urlando.
Sembrava dicesse davvero sul serio.
Maya ingoiò l’umiliazione. Ma prima ancora non poté fare a meno di collegare il tono sprezzante con le parole oscene e sensuali che erano uscite dalla stessa bocca poco prima. Il dottore sembrava maldisposto come sospettasse che lei potesse aver origliato. Il solo pensiero le accelerò il battito cardiaco gettandola nel panico, ma Maya cercò di rispondere con tono piatto:
- Non posso mettere i jeans per venire al lavoro? - Magari al dottore non piacevano, magari lì dentro erano tutti come appena usciti da una boutique.
Un’esclamazione sarcastica gli uscì dalle labbra.
- Non sono i jeans, ma quei jeans. Ti stanno più o meno come a un uomo.
Possibile che la stesse offendendo a quel modo? Maya era un tipo minuto, non troppo alto, ma aveva un corpo proporzionato.
- Va bene, da domani cercherò di mettere qualcosa di più femminile.
- E i capelli…
- Cosa?
La domanda di Maya era quasi una supplica. Possibile che neanche quelli andassero bene? Li aveva rossi, piuttosto lunghi e completamente lisci: cosa potevano avere di sbagliato?
- Qui i capelli vanno portati sempre legati, sempre. Fuori puoi tenerli come vuoi, non m’importa, ma in clinica niente chiome al vento.
- Va bene.
Clinica, aveva detto? Cominciava a sembrarle un lager!
- E poi il cane.
- Il cane, cosa?
Maya girò il viso nella sua direzione come se potesse davvero guardarlo negli occhi e gli prestò tutta l’attenzione di cui era capace.
- Fa schifo, è un sacco di pulci che non tollererò un giorno di più. Da domani non lo porterai.
No, quello proprio no.
- Ma io ho bisogno…
Le parole le bruciavano in fondo alla gola, tanto che non poté terminare la frase. Le veniva da piangere. Quell’uomo era un mostro di insensibilità e lei non poteva permettergli di trattarla una schiava.
- No, non fare che adesso ti metti a piangere.
Aveva alzato leggermente la voce e sembrava davvero infastidito.
- Ti procurerò al più presto qualcosa di adeguato per quest’ambiente, un levrette, magari.
- No!
- Sì, invece
- E Doc?
- Mentre sarai qui quel sacco di pelo starà in portineria. Sta tranquilla, gli troveranno una sistemazione adeguata.
Il corpo le si tese e irrigidì per lo sforzo di tacere. Quelle considerazioni sul suo aspetto erano un vero sopruso, ma sottrarle l’appoggio di Doc era crudele. Respirò a fondo:
- Bene.
Si sarebbe fatta venire in mente qualcosa per sottrarsi a quell’idea assurda. Avrebbe scartato qualsiasi cane le avesse proposto fino a quando anche lo strafottente Orlando Saxton si sarebbe dovuto piegare all’evidenza che l’unico cane per lei era Doc.
- Bene.
Le fece eco lui. Si stava allontanando, le scarpe scricchiolarono ancora e quello fu l’unico suono che accompagnò la sua uscita di scena.
Di colpo nella stanza era calato un silenzio triste. Lentamente Maya tornò al proprio posto, mentre l’odore di Orlando Saxton si allontanava così come era arrivato.
Si era dileguato senza salutare, senza accomiatarsi in nessun modo. Era un gran maleducato, oltre che cattivo..."

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