Thiago




Thiago
Un romanzo di Margaret Gaiottina


Capitolo 1

Portia osservò attentamente. Maya O'Byrne era quella che si poteva definire una ragazza fortunata. Un bel tipo, bisognava ammetterlo, con quei capelli rossi e lisci e le curve giuste, snella ma non secca, morbida in un modo che poteva piacere soprattutto agli uomini. Tuttavia, se pur interessante, si trattava pur sempre di una sconosciuta, mentre non si poteva dire lo stesso di lui.
Quella si era aggiudicata Orlando Saxton, un bruno e tenebroso coi fiocchi. Le foto pubblicate su Glamour Woman erano state catturate in sequenza: la futura sposa che usciva dalla limousine con la faccia stupita per l'assedio dei fotografi; il suo uomo - incazzato nero per l'appostamento - che la ghermiva con fare protettivo per schermarla dai paparazzi. Le didascalie riassumevano la storia della tipa: una povera orfana cieca che guarisce e riesce ad accalappiare il secondogenito di una delle più prestigiose famiglie d’America, i Saxton fondatori della famosa clinica di chirurgia estetica. Lo sguardo di Portia volò sulla propria mano e sul livido che le deturpava il polso. Gran botta di fortuna quella Maya, avere un fidanzato disposto a uccidere per lei.
Glielo si leggeva in faccia a quel tipo che sarebbe stato pronto a farlo, anche a mani nude contro chiunque si fosse permesso un passo falso. Soprattutto a mani nude. Quel grande palmo che stringeva la spalla della sua donna doveva essere simile a una carezza, ma sarebbe stato in grado di stringere una gola. Tutto sembrava, tranne che un medico. Piuttosto pareva uno di quelli giusti che si sa far rispettare. Nei jeans di lusso pareva potervi aver appena infilato una pistola, oltre ai lembi della camicia bianca un po' sbottonata. Portia sospirò mentre una voce sguaiata penetrava a forza tra i pensieri:
«Sto usando una corvette da sballo che veniva usata per la droga. Sai che faccio? La spingo al massimo fino a far ruggire il motore, tanto che mi frega se si rovina? È a noleggio, è fatta apposta per divertirsi senza problemi.»
Il rappresentante di sottaceti parlava col fattorino e intanto di certo la stava fissando. Portia chiuse per un momento la rivista ma non sollevò lo sguardo. Che cos’era lei se non qualcosa di molto simile alla macchina a noleggio di cui stava parlando. Cos'era se non esattamente quello? Un bell'oggetto troppo sfruttato per essere apprezzato fino in fondo. Chi avrebbe mai potuto desiderare una donna come lei, che era stata "tirata al massimo" proprio come la corvette a noleggio? Era bella, sì ma dire “usata” sarebbe stato dire poco. Portia sbuffò facendosi vento col palmo aperto e stringendo le labbra. Non ci poteva fare niente, per quanto la cosa le desse sui nervi, era così e basta.
Portia smise di sventolarsi con la mano e si leccò le labbra. Faceva un caldo da morire e l'arsura non le dava tregua. Cercò di evitare lo sguardo del rappresentante. Quel tipo veniva spesso in drogheria. Aveva le mani sempre sudate; come ogni volta, anche quel giorno sfoggiava un completo dozzinale con la cravatta appena allentata per il caldo e un alone grigio sul colletto della camicia bianca. E la guardava con la bava alla bocca. Come altro si poteva definire quella espressione fatta di occhi sgranati e labbra socchiuse con una pallina di saliva agli angoli?
Portia sapeva benissimo cosa stesse puntando. Nello specchio che stava a lato del bancone, poteva vedere gli occhi scuri e cupi restituirle lo sguardo, la massa di capelli ricci che le ricadeva sulle spalle, la scollatura profonda sulla quarta di reggiseno, la gonna rossa a pois bianchi stretta in vita, i tacchi color corallo, le caviglie magre. Se fosse stato per lei non si sarebbe mai addobbata in quella maniera. Stava scomoda con quelle mise super sexy e iper femminili: la tentazione di dare fuoco al guardaroba delle volte diventava fortissima. C'erano dei giorni in cui avrebbe voluto alzarsi dal letto e infilarsi nei pantaloni informi del padre. Ma poi come avrebbe fatto a rimorchiare? Era più forte di lei, gli uomini voleva averli sottomano, e sotto anche qualcos'altro, quando ne aveva quel bisogno familiare e disperato. Era come avere dentro un demone affamato che reclamava la sua razione di sesso a tutti i costi. Maledizione. La campanellina annunciò che qualcuno stava entrando.
Erano Jessika ed Ella. Portia drizzò la schiena guardando altrove per evitare di aprire subito le ostilità. Non alzò nemmeno gli occhi. Conosceva a memoria le sue "amiche", se così si potevano chiamare.
Jessika Baneras, la tappetta portoricana con capelli neri e frangetta, entrò per prima ancheggiando a gambe larghe. Fu affiancata in un solo passo da Ella Hunko grazie alle gambe molto più lunghe di quest’ultima: una stangona di origini polacche, bionda, top rosa, calzone bianco. Portia si mise a riordinare nella speranza di scoraggiare la solita commedia sul gommista ricchissimo fidanzato di Jessika e sul dottore fidanzato di Ella.
«Ciao, Portia,» disse la Baneras togliendosi le cuffiette: visto che carino? Hernandez mi ha regalato l’iPod Touch5.» Mostrò un rettangolo di metallo azzurro collegato agli auricolari e portò in avanti una spalla nascondendoci dietro il mento. Sorrise a occhi socchiusi.
L’altra, Ella, intanto chinava appena la testa in cenno di saluto come trattenendo il fiato. «Andrew ascolta la musica solo con lo stereo a valvole,» disse sventagliando i capelli lisci all’indietro e mostrando il collo. Poi prese il giornale dalle mani di Portia riconoscendo le foto anche se capovolte:
«Ma è Orlando Saxton, quello?»
«Ma ci pensate? quello si sposa una che era cieca!» Jessika fece schioccare la lingua. «Altro che acchiappo ha fatto lei! E anche l’altro è uno sballo.»
«L'altro chi?» Portia allungò il collo per vedere meglio mentre Jessika puntava il dito scuro sulla pagina della rivista. L'unghia laccata di rosso andò a piantarsi su un riquadro col titolo “Lui è ancora disponibile”: c’era un ragazzone alto e ben messo con i capelli biondo grano.
«Thiago Saxton.»
Ella batté le ciglia lentamente: «È il fratello del dottor selvaggio. E lui è libero come il vento.»
Jessika avvicinò la rivista agli occhi leggendo la didascalia:
«“Il golden boy Thiago Saxton ventisei anni, uno degli scapoli più in vista d’America, continua a rifuggire l'idea del matrimonio.”»
«Lui, sì, che è davvero uno schianto» annuì Ella ma Jessika protese una specie di broncio.
«Peccato che sia così...»
«Così come?» chiese Portia lanciando uno sguardo preoccupato alla foto. Cercò di concentrarsi sulla figura nel riquadro. Cosa poteva aver fatto di male quel tipo alto e bello per scontentare una come la Baneras?
«Ma dai, va con tutte!»
Non era proprio difficile da credere, la foto lo inquadrava da lontano, ma non c'era dubbio che Thiago Saxton fosse un tipo ben più che interessante.
«Beh che c’è di male?» mormorò Portia con un filo di voce, appena tremante.
«Non si porta mai a letto due volte la stessa donna.» La polacca sgranò gli occhi un po’ spaventati e un po’ eccitati.
Jessika annuì:
«Proprio mai. È una barzelletta. Ma è così»
«Io - si accalorò Jessika Benares avvicinandosi - l’ho visto passare diverse volte qua davanti, ha una supercar scura. Però si è fermato e si è scusato… Era in costume, si vede che tornava dalla piscina. Un fisico pazzesco. Ho provato a fare un po' la carina ma poi ho guardato dentro l’auto e c’era una donna. Tanto per cambiare.»
«Ma, scusa, non ce l’hanno la piscina a casa?!» Portia non poté impedirsi di squadrare Jessika a sopracciglia inarcate e questa le rispose con una smorfia:
«Si vede che preferisce andare dove può agganciare.»
Ella esalò un sospiro: «Roba da jet-set e poi noi siamo fidanzate. Certo che se un giorno Thiago Saxton avrà una donna fissa, quella ci farà morire d’invidia tutte quante.»
Nella grocery Mantini il pensiero dei capelli biondo grano di Thiago Saxton impedì ai presenti di far caso al rombo potente e leggero di una BMW I 8 blu notte che sfrecciava a tutta velocità su Hamburg Ave, proprio alle loro spalle, e che portava con sé l'oggetto dei desideri di ogni donna di Sussex e di moltissime altre nel mondo.

Thiago era di nuovo in ritardo, maledizione. Non gliene andava una giusta. Spinse il pedale a tavoletta e il bolide divorò la strada con un'accelerata fluida e quasi silenziosa. Correre era davvero figo, gli regalava una scarica di adrenalina esaltante, al di là del fatto che non sarebbe servito a restituirgli quella mezz'ora persa. Con una manovra azzardata imboccò il viale alberato che saliva verso la collina dove sorgeva l'abitazione del padre, mentre le ruote stridevano sull'acciottolato.
Mantenendo gli occhi fissi davanti a sé, allungò la mano verso il portaoggetti alla ricerca del telecomando. La porte del cancello automatico si aprirono con lentezza esasperante mentre aspettava tamburellando con le dita sul volante al ritmo duro dei Deftones.
Dai, dai, su! Appena si aprì un varco sufficiente, si infilò tra due ali di metallo dritto fino al garage.
Maledizione, il tempo era volato senza che se ne accorgesse. Prese la scala interna salendo i gradini due alla volta. Infilò le mani nel taschino della camicia. C'erano tre bigliettini tutti umidi e spiegazzati.
Il solito copione: erano state le ragazze in piscina, tre tipette tutto pepe poco più che adolescenti con i bikini striminziti che lo avevano mangiato con gli occhi e alla fine erano riuscite a dargli il loro numero di telefono. Ovviamente tutte e tre. Scritto con la penna e uno addirittura coi cuoricini. Thiago abbandonò i foglietti spiegazzati nel posacenere. Sentiva voci familiari provenire dalla sala da pranzo, erano David e il padre che dovevano essere alla fine del pranzo, ormai.
«Non sono sicuro che sia una buona idea, papà.»
«’Giorno»
Thiago scansò una sedia e prese posto con il sorriso candido di chi si ritrova a una riunione con amici. David rispose al saluto mentre Arthur gli rivolse solo un debole cenno del capo senza abbandonare il discorso. Ma lo sguardo faceva presagire che non avesse gradito il ritardo.
«Perché no, David?»
Il fratello maggiore si tamponò la bocca col tovagliolo, proprio là dove finivano le labbra e iniziava il pizzetto curato al millimetro:
«Credo che uno come James Monroe non sia incline ad accettare regali, anche se dovesse trattarsi di un presente di benvenuto.» Ah, ecco, parlavano del chirurgo: quello nuovo che aveva iniziato a lavorare nella loro clinica la scorsa settimana.
Arthur annuì e David continuò:
«Non abbiamo ancora confidenza con lui e potrebbe interpretare male il nostro atto di cortesia, scambiarlo per qualcos'altro, magari un tentativo di influenzare le sue scelte, anche future.» Saggio David, dalla sua bocca non potevano che uscire parole di buon senso.
«Forse non hai tutti i torti...»
Arthur abbassò lo sguardo sul Patek Philippe da polso e Thiago ebbe la certezza che in quel preciso momento sarebbe toccato a lui.
Senza cambiare espressione, Arthur si rivolse al figlio minore: «Non si può certo dire che la puntualità sia il tuo forte, figliolo.»
Thiago inspirò incamerando quanta più aria possibile nei polmoni, ecco che il vecchio ricominciava. Conosceva la manfrina a memoria quindi avrebbe potuto anche distrarsi un attimo guardando cosa ci fosse per lui sotto la campana di metallo. Scoperchiò il piatto dove trovò filetto, patate novelle e asparagi scottati. Aggrottò le sopracciglia setacciando il tavolo: posate d'argento, calici di cristallo, vino... Dove cacchio avevano messo la maionese? Ah, già, da nessuna parte, a casa Saxton al massimo si mangiava salsa villeroy preparata di fresco.
Che aveva detto suo padre? Ah, si blaterava del fatto che aveva tardato. Thiago prese un boccone e parlò con la bocca piena. Aveva una fame da morire, la piscina lo aveva sfiancato:
«Ho fatto tardi ma il tempo è volato, dovrò mettermi una sveglia la prossima volta. Dovresti provare anche tu, papà, ti divertiresti un casino.»
«A me basta la piscina della villa,» Arthur scosse la testa visibilmente irritato ma nonostante ciò le parole furono un flusso gentile e costante. «Stai prendendo il tirocinio troppo sottogamba, Thiago, la chirurgia toracica richiede applicazione e pratica metodica e indefessa. Quella che dovresti svolgere presentandoti con puntualità al tirocinio.»
Thiago si riempì troppo la bocca e spostò lo sguardo verso David che non gli staccava di dosso gli occhi di ghiaccio. Suo padre, invece, alzò un sopracciglio in senso di assoluta disapprovazione di fronte a quella spregiudicata violazione del galateo.
Thiago sentì la furia espandersi nel petto e bruciargli la gola come fuoco. Il cibo gli si trasformò in veleno nella bocca e lui dovette imporsi di deglutire per non sputare. Lasciò la forchetta portando entrambe le mani sotto la tavola dove le chiuse a pugno con tutta la forza che aveva. Nell’immaginazione spostava la sedia facendo stridere le gambe sul pavimento e si alzava in piedi guardando il padre dall'alto negli occhi grigio azzurri appena offuscati rispondendogli la verità, quella che proprio non voleva sentire. "Ho passato la mattina in piscina perché i cardio depressori con questo caldo mi sfiancano e sai benissimo che non posso presentarmi in sala operatoria con il battito accelerato e rischiare le conseguenze che conosci, caro papà."
Quella voce gli ruggiva dentro, consumandolo come acido. Thiago strinse le ginocchia nei palmi, come se potesse stritolarle e i denti dietro le labbra erano talmente digrignati da rischiare di andare in frantumi. Le sopracciglia erano aggrottate nello sforzo di contenersi e la bocca rigida. Che accidenti doveva fare? Strillare quella verità tanto pura e semplice che tutti in quella stanza conoscevano? Perché Arthur continuava a fare domande inutili? Almeno David aveva il buon senso di stare zitto, questo doveva riconoscerglielo. Basta bugie, avrebbe voluto gridare.
L'unica cosa che veramente gli avrebbe risolto la vita sarebbe stato ammettere con semplicità che si imbottiva di schifezze per evitare in disastro, o ancor meglio smettere di nascondere “il disastro”. Thiago mandò giù il boccone ancora intero e sentì come un macigno nel petto che non aveva niente a che vedere col cibo. Avvertiva quasi il labbro tremargli per la tensione, non sapeva se fosse vero o se lo stesse solo immaginando. Ma alla fin fine, dal vigliacco che era, l'attimo di furore puro passò così come era arrivato. Come se nulla fosse accaduto, sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori.
«Hai ragione, papà. Credo proprio che a questo punto salterò il dolce e andrò dritto in clinica,» tanto l'appetito gli era del tutto passato.
«Aspetta, aspetta…,» Arthur gli fece cenno di sedersi.
Che altro poteva esserci? Thiago si fermò rigido tra la porta e il tavolo.
«Dobbiamo assolutamente festeggiare: il Pentecostale della comunità di Monte Calvario ha menzionato tutta la nostra famiglia, e me in particolare, dedicando un articolo all'ultima asta di beneficenza a cui ho partecipato. Direi che è una notizia di cui gioire!»
Ma stava dicendo sul serio? Thiago incrociò lo sguardo del fratello appena in tempo per sentirgli dire:
«È una notizia meravigliosa, papà. Dobbiamo brindare,» con l'espressione imperturbabile che non faceva trapelare alcuna emozione.
Con la medesima faccia da pesce lesso David avrebbe potuto benissimo dire "è morto il mio gatto stamattina" e sarebbe stato ugualmente credibile. Ma davvero Arthur poteva gioire per una cazzata simile?

Il Pentecostale? Ma che razza di giornale si poteva chiamare così? Thiago si sentì girare la testa per la rabbia e dovette aggrapparsi alla spalliera della sedia per non perdere l'equilibrio. Tutta quella vanagloria per un oscuro giornaletto di una misconosciuta congregazione religiosa. Era ridicolo. Ma invece di dire la verità, ancora una volta si trincerò dietro un sorriso dei suoi.

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